Questionario proustiano sulla scuola #15. MASSIMO PACILIO. Guardiamo avanti nella Tradizione – pubblicato su Barbadillo.it


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Il grande respiro gli viene dalla frequentazione di “moltitudini del tempo” a discapito di quelle “dello spazio”, che, messe come sono, gli fanno solo storcere il naso. René Guénon, Julius Evola e in genere i maestri della Tradizione. Massimo Pacilio è noto ai lettori ‘di destra’ per un suo saggio del ’98 (Conoscenza tradizionale e sapere profano. René Guénon critico delle scienze moderne), che sottolinea proprio le differenze tra il firmamento delle verità tradizionali e il nozionismo attuale, privo di significato, che ha abbandonato perfino l’arida limpidezza della tecnica per darsi a convulsioni sempre più arbitrarie. Ma all’arte della pedagogia Pacilio si applica da tempo anche grazie alla sua professione di insegnante, che di continuo gli fa esplodere di fronte i problemi della scuola. Le ali delle letture non mondane gli permettono però di non farsi ottundere dall’inerzia del ‘così è’ e di arrivare immediatamente al politico ‘così non deve essere’, e all’ancor più politico ‘così dovrebbe essere’. Perché il paradosso degli inattuali è che, se interrogati dal tempo, sanno essere di una puntualità nella risposta che sfiora la prodezza. Continua a leggere

Questionario proustiano sulla scuola #14. GIUSEPPE CULICCHIA. E se a scuola si leggessero buoni romanzi? – pubblicato su Barbadillo.it

Giuseppe Culicchia a Chiasso (Chiassoletteraria)

Da quando, negli anni ‘90, ha portato nelle librerie Walter, il protagonista alter-ego di Tutti giù per terra, Giuseppe Culicchia ha insegnato agli italiani a guardare con sospetto i tic del mondo moderno: il suo compiacimento nevrotico per le contraddizioni, la sua religione della vanità, la sua diffidenza rabbiosa verso ciò che ha valore, la sua tristezza congenita. Ma in Culicchia non ci sono né la pesantezza del moralista né pose pedagogiche; solo un’ironia irresistibile che non si stanca di indicare la schiena nuda del re. E talento, un talento capace di infilare pagine su pagine di puro virtuosismo. Dopo libri che sono diventati quasi dei classici, come Tutti giù per terra, Il paese delle meraviglie, Paso doble, Bla bla bla, Brucia la città, vari scritti dedicati alla città di nascita, Torino è casa mia, BA-DA-BUM! (Ma la Mole no!), e alla Sicilia paterna, Sicilia, o cara, una guida ai murales di Torino, Duri e muri, una serie di confidenze amichevoli e disincantate agli aspiranti letterati, E così, vorresti fare lo scrittore, numerose traduzioni importanti – di Mark Twain, Bret Easton Ellis, F.X. Toole, Hervé Kempf, Francis Scott Fitzgerald –, Giuseppe Culicchia ha pubblicato quest’autunno il suo nuovo libro per EDT (casa editrice delle celebri Lonely Planet). My Little China Girl è un’insolita guida culinaria per orientarsi a Pechino. Tutto cominciò con la curiosità di visitare il ristorante del Partito Comunista Cinese…
Se anche voi siete tra chi si è appassionato agli scambi di bestemmie tra Attila e Zazzi, i due protagonisti adolescenti de Il paese delle meraviglie, o tra chi, all’università, ha provato lo stesso senso di straniamento di Walter, sarete curiosi di scoprire cosa ne pensi Giuseppe Culicchia dei guai e delle fortune della scuola italiana.   Continua a leggere

Questionario proustiano sulla scuola #13. ROGER ABRAVANEL. La ricreazione è finita – pubblicato su Barbadillo.it

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Pragmatica, intelligente, contemporanea: l’educazione di oggi, secondo Roger Abravanel, dev’essere così. Deve scuotersi di dosso le comodità che diventano inerzia e dipendenza, le conoscenze che non possono fiorire nella pratica, l’abitudine a sostituire con la memoria il ragionamento, l’iniziativa e l’approfondimento personale. La scuola, soprattutto, deve promuovere il merito e, a sua volta, cercare di migliorarsi senza tregua. Abravanel, premiato nel ’68 come il ‘più giovane ingegnere d’Italia’, dopo la laurea in ingegneria chimica, ha alle spalle una lunga carriera all’interno della società di consulenze McKinsey&Company, di cui oggi è director emeritus. È consigliere di amministrazione di aziende internazionali e italiane come Luxottica, Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Italiano di Tecnologia. Presidente dell’Insead Council italiano, è editorialista del Corriere della Sera e ha alimentato il dibattito sui temi del lavoro, della meritocrazia e della scuola con pubblicazioni come Meritocrazia, Regole, Italia, cresci o esci. L’ultimo suo libro, La ricreazione è finita. Scegliere la scuola, trovare il lavoro, scritto a due mani con Luca D’Agnese, affronta di petto i problemi della scuola italiana di oggi, offre nuove visuali raccogliendo testimonianze di giovani che sono riusciti a mettere a frutto i propri talenti, propone soluzioni realistiche e aiuti ai genitori e ai ragazzi perché si indirizzino al meglio nella scelta del corso di studi, spiegando con che criteri valutare una scuola e come orientarsi di conseguenza. Perché i giovani e le famiglie italiane non possono lamentarsi del sistema scolastico se poi continuano a scegliere e a comportarsi in modo stereotipato. Il miglioramento di tutti (e tutto) deve partire dalla volontà e dal coraggio di ciascuno. Continua a leggere

Questionario proustiano sulla scuola #12 – DON CESARE CONTARINI. Per un nuovo umanesimo a scuola – pubblicato su Barbadillo.it

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Che Dio fosse luce lo sapevamo da sempre, ma che Dio sia agile intelligenza nel (del) mondo lo scopriamo con don Cesare Contarini, rettore del Collegio Vescovile Barbarigo di Padova e consigliere regionale della Fidae, la federazione delle scuole paritarie cattoliche. Tutto, nell’istituto che dirige (dopo quasi un ventennio di giornalismo a capo del settimanale “La Difesa del Popolo”), parla della sua grande capacità di interpretare il tempo. Anche la bella citazione di Bob Dylan sulla giovinezza, che decora il segnalibro azzurro con il calendario delle lezioni. Ma poi la scelta dei professori, lo stile nel comunicare, i problemi che vengono subito stemperati, rinunciando a coltivare la tentazione del morboso. Lo spettacolo del palazzo cinquecentesco che ospita il Barbarigo, con un chiostro che splende di palme e di alberi da frutto, non sarebbe così significativo se non ci fosse quel punto di cui il resto è espansione, come nei migliori canoni della tradizione. È qui che ritorna tutta, la tradizione: nel garbo e nella naturalezza con cui don Cesare svolge la sua funzione di rettore. Ma come le sa cavalcare lui le onde di questo presente ben pochi sanno. Ha trovato la misura giusta del chiedere e del dare. È riuscito a mettere in secondo piano le burocrazie e in primo gli studenti. Uno per uno. Li conosce come se fossero suoi familiari, perché con loro parla e quello che non gli dicono lo indovina, ma mai che se ne serva per punirli. Anzi. Se può, li aiuta, sempre. Perché per lui educare non è strapazzare la mente, ma irrobustire il cuore, e il cuore, dagli undici ai diciannove anni, si nutre del riguardo che gli viene rivolto. Misericordia, potremmo chiamarla, ma per certe orecchie di scettici suonerebbe retorico. A loro si può solo far notare – nemmeno troppo sommessamente – che l’idolo dello studio ‘matto e disperato’ ha aiutato ben pochi a vivere una vita decorosa. Che molti sono scoppiati prima. Che è più facile veder emergere nella società chi si è riservato qualche ora del tempo cruciale dell’adolescenza per capire chi era. Meglio usare questi argomenti da contabili, perché, agli scettici, si può forse parlare di stile, di estetica – o di incanto? Continua a leggere

L’ultimo anno di Babbo Natale – pubblicato su Barbadillo.it

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Non vi aspettereste certe reazioni da parte di un vecchio, lo so. Lo so come siete fatti, che ai vecchi vi piace piazzare qualche badante sugli alluci e scriverci i libri e le sceneggiature strappalacrime. D’altronde, vi conosco da quando mi chiedevate l’enciclopedia dei Quindici e i pastelli, e dopo le prime Barbie ancora bionde e le prime macchinine ancora con quattro ruote. Lo so che questa cosa vi spiazzerà molto, soprattutto perché sarò io a farla. Ma vi dico che non me ne frega più un tubo. La vulgata vuole che io sia per definizione buono e paziente. Ma quest’anno non va così, ragazzi. Mi sono definitivamente rotto. Il fatto è che io sono vecchio, certo, ma non stupido. Se c’è una cosa bella della vecchiaia è che conosci praticamente tutto, riconosci da lontano i meccanismi delle persone, vedi attraverso i vetri, i vestiti firmati, le tinte e i parrucchini (non a caso, muore giovane colui che agli dèi è caro…). Continua a leggere