Ospedale S. Francesco, città della Salute

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Tutto incominciò con la carità dei piccoli ospitali. Strutture minime, sparse un po’ in tutto il territorio di Padova, dentro e fuori dalle Mura della città, gestite da religiosi e religiose. Dentro ci potevano stare una ventina di letti ed erano aperti a malati ma anche a bisognosi di ogni tipo: poveri, anziani, solitari, viandanti. Le strutture avevano pochi mezzi, se non la vicinanza di Dio.

La medicina umana e divina dei piccoli ospitali diffusi subì un arresto nel 1509, con il grande ‘guasto’ imposto da Venezia. Mentre la Lega di Cambrai si era coalizzata contro la Serenissima per minare il suo potere, il 17 luglio Venezia aveva riconquistato Padova e intendeva rendere sicuro il suo possesso dagli attacchi nemici. Si rinforzarono le mura, si creò un profondo fossato interno dotato di trappole. E soprattutto, si cominciò a realizzare il ‘guasto’. A partire da un miglio di distanza dalla città, venne spianato tutto quello che sorgeva sopra il livello della terra e potesse costituire un riparo per i nemici: alberi, costruzioni, chiese, monasteri. Durante i quattro anni della preparazione del ‘guasto’, anche tutti gli ospitali esterni alle mura di Padova vennero abbattuti.

Fortunatamente, un secolo prima, in città erano cominciati i lavori per il primo vero ospedale di Padova. Il 25 ottobre del 1414, era stata posta la prima pietra dell’edificio voluto dal diplomatico Baldo de’ Bonafari da Piombino e da sua moglie, Sibilia de’ Cetto. L’idea dei coniugi era quella di creare, in grande e per tutta la città, quello che erano i piccoli ospitali diffusi, edificando un ospedale, una chiesa e un convento che potessero dare ricovero a un grande numero di malati e bisognosi. E, stranamente per l’epoca, il nuovo Ospitale di San Francesco prese vita in pieno centro, a pochi passi da via del Santo. Più edifici a due piani, due reparti, saloni per le riunioni, abitazioni per il Priore e gli ufficiali del Governo, varie corti, un orto, una stalla, pozzi, una spezieria, una medicaria, una lavanderia, cucine, cantine e magazzini, residenze per il personale – già dal 1518 nel nuovo ospedale lavoravano tre medici e svariati assistenti e qui si tennero le prime lezioni universitarie di medicina, con la possibilità di fare pratica al capezzale di malati e feriti.

Finché, secoli dopo, anche il grande ospedale di San Francesco non fu più abbastanza grande per tutti i malati che si raccoglievano davanti alle sue porte. Il loro numero, in meno di cent’anni, era raddoppiato. Fu allora, alla fine del Settecento, che il Vescovo Nicolò Giustiniani si rivolse a Domenico Cerato. È a lui che il Vescovo originario di Venezia fa progettare un ospedale nuovo e immenso, generoso e provvidenziale, che sia degno dei migliori esiti europei. Spinge la cittadinanza, organizza iniziative per raccogliere offerte, finanzia personalmente gran parte dei lavori, ma vuole che si ringrazi solo Dio – tanto che la statua in suo onore fu sistemata nel nuovo ospedale solo nel 1846. Il Vescovo muore due anni prima dell’inaugurazione del colossale Giustinianeo. Non fa in tempo a vedere i quasi quattromila malati che ogni anno sono accuditi tra le sue mura. Ma sicuramente sarebbe felice della sua ‘creatura’, che di secolo in secolo si è espansa e diffusa fino a diventare una piccola città della salute.

Silvia Valerio

 

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