Dentro le mura di Cittadella cresce la pace – pubblicato su CulturaIdentità

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Un corpo bello e perfetto per fare la guerra. Fatto di mattoni e ciottoli del Brenta, malta, calce e sabbia. Legno, ghiaia e pelli bagnate. Un corpo alto fino a 30 metri, e sinuoso. Capace di vedere lontano. È quello di Cittadella, perla della pianura veneta, nata all’incrocio tra la via Postumia e la Valsugana, quando Padova decise di dar vita a un giovane centro di potere, venticinque anni dopo la creazione di Castelfranco da parte di Treviso. I primi lavori cominciano d’estate, il 29 giugno del 1220. Si dice che a progettarla sia stato Benvenuto da Carturo, nobile padovano che in seguito prese il nome dalla nuova città. Che sia storia o leggenda, intorno all’opera di certo si avvicendarono operai e ingegneri, arrampicati sopra spalti di legno o con le caviglie affondate nella terra, in quel “regno della foresta e della palude” che si allungava tra il Brenta e il Musone. La costruzione della cinta muraria richiese più fasi. Prima gli scavi. Poi le strutture difensive di legno e terra. Poi le murature. Le quattro porte: Padovana, Vicentina, Bassanese, Trevisana. In mezzo, nel 1222, addirittura un terremoto. Ma loro, di anno in anno, crescevano, cesellati e resi potenti dai rifornimenti cui i padovani erano obbligati: merli guelfi, torrette e torri, gironi, barbacani, saracinesche, porte latine. Mantellette e bertesche per riparare gli arcieri. Piccoli capolavori di efficacia presto imitati dalle città vicine. Crebbe la torre più alta di tutte: la Torre di Malta, voluta da Ezzelino, dove, riportano le cronache, fame e sete, odori, urla e corpi venivano ripuliti solo quattro volte l’anno.

Al termine dei lavori, la nuova nata superò di gran lunga Castelfranco: se Treviso aveva un castello compatto e quadrato, Padova mostrava 1,5 km di cinta muraria che correva intorno al cuore della nuova città, lasciandole respiro. Dentro le mura, adesso cresceva la pace. Nelle stradelle dei quartieri ritagliati dalle due grandi strade traverse, si espandevano commerci e fortune. Si discuteva e ci si governava. (Padova, in maniera originale, le permise di darsi uno statuto autonomo). Le famiglie si trasferivano dalla città madre e proliferavano notai, religiosi e usurai, macellai, pastori e tavernieri, barbieri, sarti e calzolai, lavoratori della lana, del cuoio e delle pellicce.

Ecco la ‘piccola Padova’, pronta a ospitare Carraresi e Scaligeri, ungari e veneziani, la corte dei mecenati Bentivoglio e Malatesta. Vicina alle più importanti arterie settentrionali e ormai abbastanza lontana da Ezzelino da non sentire più paura di niente.