Il suicidio di Michele da Udine e la necessità di riscoprire vita&politica – pubblicato su Barbadillo.it

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Pochi giorni fa Michele da Udine decideva di togliersi la vita e prima di farlo ha scritto una delle più belle lettere che si possano leggere (se non la conoscete ancora, la trovate qui.). Michele aveva trent’anni ed era un ragazzo friulano e se i friulani hanno un vizio è quello che non riescono a raccontarsi balle; sono impermeabili agli edulcoranti sociali, talvolta incastrati nella rigidità, ruvidezza delle cose, per quanto possano essere sensibili, quindi Michele, questo ragazzo dal nome di un angelo, non riusciva a raccontarsi che la vita che stava vivendo era degna di essere vissuta e ha preso la decisione più ferma, estrema, crudele che si potesse prendere.

Michele non era un migrante e nemmeno una persona con problemi di genere. Non ambiva ad adottare un bambino insieme a un compagno omosessuale e nemmeno a sposarcisi insieme con rito civile nella Capitale. Per questo, evidentemente, non era alla moda, e quindi i suoi bisogni, come quelli di tutti i suoi coetanei o dei ragazzi delle generazioni precedenti, non andavano presi troppo in considerazione.

Quanti altri ragazzi come Michele devono prendere decisioni simili perché qualcuno si renda conto che siamo noi quelli da tutelare e non sempre e solo i “diversi” o chi viene da tutt’altra parte del mondo?

Di quante tragedie si deve lastricare la storia italiana perché ci rendiamo conto che noi, prima degli altri, siamo il bene più prezioso e che c’è una gerarchia di importanza delle cose da rispettare?

E ovviamente non ci saranno manifestazioni per Michele. La gente non scenderà in piazza come contro Trump. Non si faranno assemblee. Il massimo, una scritta, a Bologna: “Per Michele e la nostra generazione l’unica garanzia è la vendetta”. Che però è stata debitamente cancellata.

Michele si è ucciso nella settimana di Sanremo, mentre Carlo Conti prende 650.000 euro per la conduzione e direzione artistica del festival, Tiziano Ferro 250.000 (o forse ancora qualcosa di più) e mentre le amabili arpie della televisione si scambiano frecciate a mezzo Twitter sul tema spacchi-e-scollature.

Ma voi che leggete questo pezzo, voi potreste fare qualcosa. Iniziate con lo spegnere la televisione. Spegnetela, spegnetela e basta, e vedrete che se tutti quanti la spegniamo comincerà a essere difficile che Carlo Conti percepisca 650.000 euro. Rai, Mediaset e poi tutti i canali a pagamento, e il grande successo delle serie TV, e il calcio milionario senza più significato e le forme d’arte concepite come prodotti da discount e internet che ci ossessiona e il telefono sempre connesso. Dio, non ne avete abbastanza?

Guardiamo in faccia tutta la realtà, spalanchiamo i nostri occhi su tutto questo vuoto, finché non ci spaventeremo a sufficienza. E smettiamo di lasciare la politica a mafiosi, cinici, incapaci, corrotti; smettiamo di farci incantare dai toni e dalle sfumature e da un bell’abbigliamento o una buona pronuncia inglese. Riprendiamo a parlare tra di noi, a immaginarci strade nuove, a cercare soluzioni pratiche per i nostri desideri, ad aiutarci, a costruire alternative indipendenti, a impegnarci non solo per questioni egoistiche – perché poi, alla fine dei conti, l’egoismo è la cosa meno egoista che ci sia. Laceriamo questo manto di droghe che ci hanno apparecchiato davanti da quando andiamo a scuola. Le parole che non si possono dire, le questioni che non si possono toccare, le storie da imparare a memoria e una massa, un intrico di problemi e vincoli con cui ci fanno credere che governare è cosa assai complessa, una specie di slalom per gente in gamba, e quindi meglio lasciarla a gruppi maturi e con buone relazioni. Facciamola finita con questa religione delle Buone Relazioni, impariamo a uscire dal torpore e dalla comodità, a prendere l’iniziativa, a valutare con la nostra testa persone e capacità.

Torniamo a cercare la vita, la vita al massimo, come ha scritto Michele, la vita fatta di carne e respiro, quella che non si trova né nel telefonino né tra i download di internet. Ma da quant’è che non vi sentite il sangue pulsare come quando eravate bambini? Da quant’è che avete smesso di innamorarvi di qualcosa? Di respirare, di sperare, di credere in idee che non siano immediatamente tangibili, monetizzabili? Da quanto avete relegato l’idealismo nello spazio delle cose inutili e addirittura dolorose? Fate che i vostri battiti non si alzino solo per un film al cinema o per un video su YouTube. Questa è la vita che deve esistere e che dobbiamo cercare. Questa è la politica, la politica bella, vera, non quella che stanno facendo da decine di anni centinaia di burocrati inutili impegnati in calcoli da settimana enigmistica, tra polizze e bidoni delle immondizie.

Da questi possiamo aspettarci poco, è evidente. Siamo noi che abbiamo il diritto e il dovere di inventarci un’alternativa. Di dare un senso alla vita. Come volete il vostro futuro? Cosa preferite rischiare, di fare uno sforzo ora oppure di non cambiare nulla e poi accorgervi troppo tardi del male che vi siete fatti?   Facciamo che Michele non si sia ucciso per niente, che ci possa insegnare qualcosa: è il minimo che gli dobbiamo.

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