La musica popolare trentina

download-2Qualche giorno fa, in casa e in buona parte della zona dove abito, è mancata la luce. Improvvisamente ci siamo ritrovati tra pareti blu oltremare. La notte che stava iniziando sembrava entrare dai vetri delle finestre; con lei il freddo di febbraio, silenzioso. Ti accorgi, quando mancano, che le luci sembrano parlare e farti compagnia. Seduta dov’ero, ho pensato a chi è vissuto anni e anni prima di noi. Le sere per loro erano sempre così, una dopo l’altra. Uomini e donne esorcizzavano il peso del buio accendendo fuochi, raccontandosi storie, cantando.

Come molte tradizioni musicali popolari, anche quelle del Trentino Alto Adige sono nate intorno ai filò. Nell’Ottocento, si trattava di canzoni per una voce, tramandate di padre in figlio, per poi trasformarsi, nel Novecento, in canzoni corali. Questa regione di montagna è uno dei luoghi d’Italia in cui la musica corale ha avuto più fortuna, tanto da rimanere anche oggi una tradizione custodita con cura. Il primo coro ufficiale del Trentino Alto Adige nasce nel 1926, dall’iniziativa di un gruppo di appassionati. Il Coro della SOSAT (che col tempo diventerà semplicemente Coro della SAT) riadatta i brani tradizionali a una sola voce nella struttura classica a 4 voci maschili. Comprende tenori primi, tenori secondi, baritoni e bassi. Le musiche e le storie cantate, che prima venivano trasmesse solo oralmente, da quel momento vengono riportate nei canzonieri o addirittura incise nei dischi. A questo primo coro ufficiale se ne aggiungono di anno in anno tanti altri, per arrivare fino a oggi: se esplorate la zona, scoprirete che quasi ogni comunità ha un proprio coro, con caratteristiche particolari che lo distinguono da quello della zona vicina. Ci sono però tratti comuni a tutti, derivate dall’appartenenza all’area nordica alpina: influenze della vicina Lombardia, del Tirolo e del Veneto.

Sono canzoni che parlano della bellezza naturale e delle imprese consumate sulle loro montagne, delle vicende di paese, di un innamorato lontano, del lavoro necessario, di una giovane contadina, dei passi di ballo e del cibo da mettere in tavola. C’è una serenità semplice ed energica, priva di drammi o malinconie, così pratica da allontanarsi dal reale e diventare inconsapevole dei chiaroscuri della vita. Sono canzoni che assomigliano ai prati di montagna in una giornata di primavera inoltrata, brulicanti di insetti e animali pacifici, e al viso dei montanari secco di sole, dove le espressioni si sono appianate. Solide come rocce e circonfuse di altitudine, senza dolore e abissi, sono diametralmente all’opposto del canto popolare del sud, pieno di tutto, dionisiaco nel bene e nel male, nell’amore e nell’odio, dove anche la stanchezza dev’essere urlata, dove tutto prende i contorni storti del magico e la voce viene spinta al limite della stonatura. In Trentino non ci sono stonature, né curve, né eccessi; l’amore è più un volersi bene, e la vita una cosa un po’ bella e un po’ brutta da costruire ogni giorno, al ritmo della mola dell’arrotino (vedi la famosissima ‘Girolemin’); se il moroso si è allontanato, la ragazza se ne troverà un altro (‘La Valsugana’); a poco a poco, risparmiando un soldo di qua e uno di là, si metterà insieme quello che ci vuole, e dopo essere andati a fare fieno: ‘E da po’ con l’orgheneto/sul tabià tezi e contenti/senza cruzi né lamenti,/baleremo tutti la zom ba ba! (‘Zom zom zu la Belamonte’).

In queste musiche che scandivano le giornate della gente con il ritmo ineffabile dell’orologio, senza cruzi né lamenti, non c’è spazio per rabbia, imprecazioni, entusiasmo, follia d’amore, disillusione, sarcasmo, immaginazione.

Silvia Valerio

 

Articolo pubblicato sul mensile CulturaIdentità.

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