“Vinci soccombendo”: la lezione di San Vigilio

Vincere soccombendo. Era questa l’aspirazione di tanti religiosi dei primi secoli dopo Cristo. Abbandonarsi alla forza della religione che sentivano così grande, più grande di tutte, e che si dedicavano a diffondere con passione energica o con pazienza soave. Pazienza se la vita veniva minacciata. Pazienza se veniva persa. Anzi: rincorrevano quasi il pericolo, ansiosi di essere liberi, più grandi, di essere insieme a Dio. Sentivano già la promessa di quell’esistere immenso e infinito, pieno di Chi amavano, che li aspettava oltre gli occhi chiusi.
Vigilio è originario di Roma e studia ad Atene, quando è papa Siricio e Ambrogio è vescovo di Milano ed estende la sua influenza su tutta la parte settentrionale dell’Italia.

Alla fine di quel IV secolo, le aree più a nord sono ancora appendici selvagge della grande cristianità di Roma. Le città e i paesi tra le montagne nascondono antichi culti, e misteriose tradizioni si conservano nelle case, tra i campi e i boschi, come quelli della lontana Trento. Nomi di divinità selvatiche scorrono sulle labbra dei contadini che chiedono raccolti abbondanti, strani ninnoli passano di mano in mano tra le dita delle donne che devono diventare madri.

È proprio lì, a Trento, che Ambrogio destina Vigilio, come giovanissimo terzo vescovo della città. Quando si scrivono, Ambrogio, straordinario fustigatore dell’idolatria del denaro, gli ricorda di opporsi all’usura e accogliere i pellegrini, e di scongiurare i matrimoni ‘misti’, tra pagani e cristiani. Lui, Vigilio, richiede della forza in più per evangelizzare le vaste aree circostanti. Servono più mani pure e occhi accesi per raccontare il messaggio di Cristo nelle lunghe vallate dure del Trentino. Dalla Cappadocia arrivano così tre missionari: Sisinnio e i fratelli Martirio e Alessandro. Vincere soccombendo – questo insegna loro Vigilio, che è giovane ma ha già la sicurezza del saggio: la predicazione dolce delle piccole cose, delle mani che sorridono aiutando altre mani, della pace degli sguardi che hanno trovato quello che tutti cercano.

I tre missionari si costruiscono una casa nella zona dell’Anaunia, l’attuale Val di Non, e la loro pace generosa attira curiosità. Chiunque è accolto nella loro casa, i paesani li possono ascoltare e conoscere. Per dieci anni, il messaggio cristiano fluisce dalle loro labbra e dai loro gesti, finché non cala bruscamente il silenzio: a Sanzeno scoppia un litigio violento tra un cristiano che si rifiuta di venerare Saturno e dei pagani. Nel disordine che si diffonde, gli abitanti si scagliano contro i tre missionari. Sisinnio, Martirio e Alessandro vengono picchiati a morte e poi bruciati. Vigilio, non appena sa dell’accaduto, corre a raccogliere quello che rimane di loro. Sfiora con le sue mani quei frammenti di corpo che sembrano non avere più nome. I suoi occhi brillano, ma non di rabbia. Domanda di persona all’imperatore Onorio che non sia fatto nulla contro i colpevoli. Lui li ha già perdonati.

Di quei frammenti anneriti che un tempo erano i suoi missionari, parte la invia a Costantinopoli, da Giovanni Crisostomo, parte a Milano, dal vescovo successore di Ambrogio. Nelle lettere scrive di quanto si senta indegno e inferiore rispetto a loro, di quanto aspiri allo stesso privilegio, di morire per Cristo. Non sapremo mai davvero se sia stato esaudito. Intorno alla sua fine si intrecciano leggende e dicerie. Si parla di una morte per lapidazione, ad opera dei contadini, dopo che il vescovo aveva abbattuto una statua di Saturno nella Val Rendena. Si parla di cavalli che trasportano il suo corpo fino al duomo di Trento. Di sentieri aperti nella roccia con una sola mano. Si parla di colpi di zoccoli di legno e bastoni. I pittori è così che lo raffigurano ancora oggi: con il baculo pastorale, la palma e uno zoccolo di legno.

Silvia Valerio

Articolo pubblicato sul mensile CulturaIdentità.

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