Cari giornalisti del buon tempo andato

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Cari giornalisti del buon tempo andato,

giusto due parole, viste certe esternazioni.

È trascorso davvero molto dall’ultima volta che avete detto qualcosa perché davvero ne eravate convinti, vero?
Eh già, si sente.
È passato tanto, tantissimo tempo da quando andavate in cerca della notizia dal vero, da quando vi buttavate in strada, vi travestivate, facevate la notte ad aspettare qualcuno, rischiavate, soffrivate – adesso queste cose le fate fare solo ai giovani sottopagati, quelli sfigati insomma, fino a quando non diventeranno come voi e allora potranno anche loro smettere di farlo.
È passato troppo, davvero troppo tempo, dall’ultima volta che avete sperato di cambiare il mondo con le vostre parole – adesso non siete mica scemi, parlate di target e influencer, siete furbi, siete elastici, vi adattate.
Adesso, carissimi, vi piace fare esattamente le stesse cose che facevano quelli che criticavate nei vostri primi articoli – i grandi imprenditori, i politici, le star, magari anche i mafiosi: amate mangiare esattamente le stesse cose, bere le stesse cose, viaggiare con gli stessi aerei, visitare le stesse isole, ricevere gli stessi oboli, trovare le stesse bottiglie di vino nelle camere d’albergo, andare a letto con le stesse donne (o uomini, a seconda dei gusti).
Per cui non si capisce davvero perché vi ostiniate ancora a scrivere e a dire la vostra, con quei toni compìti, visto che avreste tante maniere migliori per impiegare il tempo libero.
Una giocata a golf. Un abbonamento a teatro. Una capatina dal trans più famoso. Un po’ di moto.
Diavolo, basterebbe aguzzare giusto un attimo l’immaginazione.
E invece non mollate. Prendete quell’aria un po’ così quando si parla di giovani, quando si parla di giovani e sesso. Per non parlare di quando si parla di giovani e lavoro.
Ma, se possiamo darvi un consiglio, noi nati negli anni Novanta, vorremmo dirvi che è inutile.
È inutile che parliate, voi, di volontà, fatica, determinazione e responsabilità, visto che avete studiato bene le premesse di un mondo in cui la volontà viene estenuata, la fatica sprecata e la determinazione ignorata – e se succede il contrario è un caso più unico che raro.
È inutile e grottesco che raccontiate con accenti romantici di come vi conoscevate una volta tra ragazzi e ragazze – tanto sappiamo che vi siete adattati molto bene al nuovo corso; tradite la moglie, magari anche l’amante, e vi ha fatto molto piacere sperimentare tutto lo sperimentabile, dal ’68 in giù.
È inutile che vi lamentiate delle nuove tecnologie e che vi mettiate le stilografiche nel taschino della giacca: credete che non vi vediamo quando, alle tavole rotonde, appena avete finito di parlare, tuffate gli occhi nella vostra tavoletta per aggiornare la vostra pagina, rispondere a un ammiratore e cinguettare qualche tweet o quando vi fate un selfie appena scesi dal treno?
È inutile che facciate le facce compunte di fronte ai programmi che chiamate ‘tv spazzatura’, alle donne nude e alle modelle troppo magre; inutile che piangiate di fronte alla mancanza di rispetto dei sentimenti; inutile, estremamente inutile, che vi mettiate a commentare in maniera soloniana i ricci e le pose di una bambina dalla brutta storia, che di sicuro era figlia di due genitori che magari leggevano i vostri articoli, vi ascoltavano alla radio, vi guardavano alla televisione, molto probabilmente vi ritenevano loro idoli e forse timidamente vi hanno anche ascoltato dal vivo prima di chiedervi un autografo.
È inutile che facciate il computo melanconico dei vostri errori. Tanto poi sappiamo che non impiegate le stesse belle parole con chi vuole imparare il vostro mestiere.
Ed è anche inutile, inutilissimo, che nelle foto prendiate quelle espressioni gravi, che incrociate le braccia in quel modo e vi facciate venire quelle rughe d’espressione: non siete più credibili, solo più acidi.
Avete ben poco da criticare in questo mondo, visto che è quello che avete costruito voi. Con le vostre azioni e con le vostre omissioni. Con i vostri avverbi e le vostre simpatie.
È inutile che abbiate ancora quest’ansia di mettere il voto e fare i professori con tutti. Che stiate perennemente col dito alzato. Liberatevi. Rilassatevi. Buttate fuori l’aria. Fate due salti sul posto. Slacciatevi la cravatta. Abbassate anche il dito.
L’unico che avrebbe ragione di rimanere alzato è il nostro – e sarebbe il solito medio.