Questionario proustiano sulla scuola #29. Giubilei: “Più connessione lavoro-istruzione” – pubblicato su Barbadillo.it

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Francesco Giubilei è nato nel 1992 ma sembra appartenere a un altro tempo, quando ancora serietà, responsabilità, misura erano parole che si potevano accostare senza problemi anche ai giovanissimi. Appassionato di libri, è diventato editore a sedici anni, quando ha fatto uscire il primo testo dell’etichetta Historica Edizioni; a ventuno, consociandosi con l’imprenditore Giorgio Regnani, ha fondato la Giubilei Regnani. Poi è seguito il quotidiano digitale Cultora e le librerie Cultora a Roma e Milano, la presidenza della Fondazione Tatarella, dedicata al padre della destra democratica italiana, la collaborazione con Il Giornale e il Messaggero, e le lezioni di editoria e autoimprenditorialità. All’universo della destra Francesco ha dedicato diversi libri (Storia della cultura di destra. Dal dopoguerra al governo giallo-verdeI riferimenti culturali della lega di SalviniLeo Longanesi. Il borghese conservatoreStoria del pensiero conservatore). Crede nel valore di una buona istruzione e dell’impegno sociale e civile. Due anni fa ha fondato Nazione Futura, laboratorio d’idee che vuole rilanciare un dibattito politico-culturale per promuovere un’Italia migliore. 

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

“La scuola italiana ha una serie di problemi. Il maggiore, partendo da un’analisi delle scuole medie,  superiori e dell’università, è la mancanza di collegamento tra il mondo della scuola e il mondo del mercato del lavoro. Molte volte, purtroppo, quello che viene insegnato a scuola è eccellente dal punto di vista teorico ma ha un rilievo scarsissimo dal punto di vista pratico. Manca del tutto quel rapporto concreto e vivo con il mondo del lavoro. Per esempio, nel settore dell’editoria è frequentissimo che un laureato in lettere, o addirittura uno specializzato in editoria, non abbia gli strumenti concreti per redigere un comunicato stampa o affrontare una correzione di bozze.  
L’altro problema notevole è l’abbassamento degli standard qualitativi anche da un punto di vista teorico. Negli ultimi anni, specie nel settore umanistico, c’è stata una caduta della qualità dell’insegnamento. La causa è da ricercarsi nella visione sessantottina del sei politico, che ha portato a favorire un egualitarismo che non è spinta verso l’alto, verso l’eccellenza, ma un livellamento verso il basso, verso la mediocrità”.

Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe? 

“Se potessi intervenire sull’attuale struttura della scuola, tenderei a dare un maggiore peso al rapporto tra gli istituti d’istruzione e il mercato del lavoro. Far sì quindi che gli studenti possano trascorrere dei periodi più lunghi e formativi all’interno delle aziende, però strutturati meglio rispetto all’attuale alternanza scuola-lavoro, dove molte volte il ragazzo viene inserito all’interno di un’azienda tanto per fare, poi viene abbandonato a se stesso, demansionato e si trova a ricoprire ruoli che non hanno nulla a che fare con quello che dovrebbe essere la sua formazione personale. Bisognerebbe cercare di creare dei rapporti con le aziende in modo tale che gli studenti ci entrassero con delle mansioni precise e che anche l’imprenditore ne traesse vantaggio.
Cercherei poi di rimettere al centro il ruolo dell’insegnante e di far sì che la sua autorità venisse riconosciuta sia da parte degli studenti che dei genitori – aumentando al tempo stesso sensibilmente la preparazione dei docenti.
In ultimo, va pensata una riforma radicale dei programmi scolastici nell’ambito dello studio dei settori umanistici e soprattutto nei programmi di storia, filosofia, letteratura italiana, cercando di dare spazio a tanti autori giudicati non conformi, eretici, o estranei alla cultura dominante che deriva dall’egemonia culturale gramsciana, per far sì che anche altri pensatori che hanno dato un contributo importante alla storia della cultura italiana abbiano lo spazio che meritano all’interno del contesto scolastico”.

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

“Nonostante i problemi che abbiamo già esposto, io credo che i licei diano comunque una preparazione importante dal punto di vista teorico, che permette, grazie a un programma abbastanza eterogeneo, di arrivare all’università con delle conoscenze sviluppate in molti ambiti. Continuano a esserci però alcune caratteristiche che purtroppo non permettono allo studente di aprire la mente sul serio. Servirebbero una maggior conoscenza delle lingue straniere, una maggior conoscenza delle tematiche dell’informatica e dell’utilizzo del computer. Infine, una più profonda attenzione all’educazione civica: è la scuola che deve formare i futuri cittadini consapevoli”. 

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

“Sono contrario alla visione relativistica della società secondo cui un ragazzo possa decidere in autonomia senza averne gli strumenti e sono favorevole a una struttura rigida dell’istruzione, ma si può ragionare sul fatto di far durare le superiori un anno in meno, come avviene in tanti paesi esteri, per far sì che i giovani possano entrare prima nel mercato del lavoro o iscriversi prima all’università. I  programmi vanno poi certamente rivisti e ristrutturati, cercando di eliminare le ore meno utili rispetto a quelle che invece devono avere maggior peso. Aumenterei l’importanza dell’educazione fisica, che spesso viene considerata solo una perdita di tempo; ora che è stata eliminata anche la leva militare, mi sembra un modo importante per cercare di formare i giovani e spiegare quanto sia basilare per il futuro una vita regolare dal punto di vista sportivo. Al tempo stesso, l’ora di religione andrebbe considerata non come un momento superficiale ma come un’occasione di formazione spirituale”. 

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

“Credo che la scuola, allargando gli ambiti di conoscenza, possa ambire a sviluppare, e in parte anche a modificare, degli aspetti intellettivi delle singole persone. Penso quindi che se uno stupido riesce a essere educato nel modo corretto, se gli si riescono a insegnare determinati pensatori e valori, questi possa poi essere un cittadino più consapevole, più in grado di rispettare i suoi diritti e i suoi doveri. E quindi che la scuola riesca ad avere una funzione pedagogica centrale anche per redimere o cambiare le predisposizioni nelle persone che magari inizialmente hanno meno strumenti rispetto ad altri. Detto questo, ci deve essere un’uguaglianza di opportunità di partenza ma non un’uguaglianza di opportunità in termini di arrivo: è fondamentale il concetto di meritocrazia. Ovvero se due persone partono dallo stesso punto ma poi una delle due dimostra di valere di più in termini di studio, preparazione, impegno è chiaro che questa superiorità gli va riconosciuta e premiata”. 

 

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