Questionario proustiano sulla scuola #8 – GIOVANNI DAMIANO. Riportiamo a scuola le differenze (pubblicato su Barbadillo.it)

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Quando non insegna ai ragazzi dei suoi licei salernitani a pensare, Giovanni Damiano cerca di farlo con noi adulti, attraverso i libri che pubblica, coraggiosi incentivi alla libertà di pensiero. Per questo è diventato tra gli autori di riferimento di quell’area identitaria che sta crescendo, tra un flirt con Matteo Salvini e una tirata contro le imposture del berlusconismo.
Con la lucidità e la purezza di chi non ha vincoli nell’espressione delle proprie opinioni, Damiano analizza fenomeni sempre più urgenti, come l’immigrazione, il necessario interrogarsi sulle origini, il rapporto con la potenza americana, il mondo moderno, la libertà. (Elogio delle differenze; L’emozione genealogica; L’Espansionismo americano, tutti pubblicati dalle Edizioni di Ar). Sulla scuola italiana, è realista: studia e si impegna, da dentro, per migliorarla, elabora progetti concreti, ma insieme manca di quella caratteristica, tanto tipica dell’uomo moderno, del mentire a sé stesso. Damiano ammette chiaramente che “se ‘aprire la mente’ significa imparare a pensare contro il proprio tempo, non c’è universo più distante della scuola pubblica da un simile proponimento”.

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

Non è facile rispondere perché bisognerebbe innanzitutto intendersi su quali siano le necessità del nostro tempo alle quali la scuola dovrebbe far fronte. In ogni caso, ritenendo in generale che abbiano poco senso le discussioni astratte, piuttosto che formulare vaghissimi progetti di ‘riforma’, preferisco soffermarmi sui progetti concreti che abbiamo messo in opera quest’anno nella mia scuola (un liceo classico). Partendo dalle prime classi, abbiamo attivato corsi d’inglese con madrelingue, corsi di comunicazione tenuti da giornalisti e corsi di logica, tutti in orario curricolare (per un totale di tre prime classi). In più abbiamo creato due prime classi a indirizzo scientifico internazionale, cioè con la certificazione Cambridge. Si è trattato di progetti che hanno portato a triplicare gli iscritti (in caduta libera sino all’anno scorso), laddove il classico tradizionale ha riguardato due sole prime. Quindi direi che sì, in qualche maniera abbiamo almeno parzialmente abbandonato l’idea del vecchio liceo classico.

 

Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?

Lasciando perdere la didattica, che è un altro enorme problema, relativamente ai programmi, in filosofia darei più spazio al sapere medico, astronomico e matematico nelle classi terze, mentre nelle classi quarte e quinte punterei, inoltre, sulla filosofia della mente in connessione con le neuro-scienze. In più lavorerei sulla logica nelle classi non coinvolte nel progetto illustrato in precedenza. In storia invece sarebbe interessante lavorare per grandi blocchi tematici (genesi e storia della globalizzazione, fenomenologia delle forme politiche, sviluppo dei sistemi economici, modelli di organizzazione sociale ecc., tanto per fare degli esempi), senza ovviamente mai perdere di vista i diversi contesti storici. Ma è chiaro che in tutti questi casi bisognerebbe avere perlomeno una manualistica all’altezza.

 

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

Le assicuro che i ‘valori assoluti’ non sono affatto tramontati, anzi. D’altronde, una scuola statale per sua naturale ‘vocazione’ non può non riflettere i valori dello Stato di cui è ‘emanazione’. E quindi non potrà non farsi banditrice dei valori ‘universali’ di tolleranza, eguaglianza et similia. Stando così le cose sarebbe auspicabile una scuola ‘funzionale’. Ma temo che siamo molto lontani da un esito del genere. In quanto alla formula da lei ricordata, la scuola ‘apre la mente’ nel senso limitato di fornire, nel migliore dei casi s’intende, un metodo di studio. Se invece ‘aprire la mente’ significa imparare a pensare contro il proprio tempo, temo che non ci sia universo più distante della scuola pubblica da un simile proponimento.

 

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

Una elasticità curricolare sarebbe, in linea di massima, auspicabile. Parlo però per i soli licei, le uniche realtà che conosco.

 

Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?

Gli studenti fortunatamente lo fanno già per proprio conto, almeno ai licei. Certo, quando non si trovano davanti professoresse che li sovraccaricano di compiti…

 

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

Avendo conosciuto legioni di colleghi, sostituirei senz’altro il ‘qualche volta’ con un malinconico ‘sempre più spesso’.

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