Questionario proustiano sulla scuola#31. Giuliodori: “Educare alla felicità” – pubblicato su Barbadillo.it

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Alla fine di uno stage gli regalano un celebre libro di Dale Carnegie. Andrea Giuliodori, giovane ingegnere, comincia così ad appassionarsi alla cosiddetta ‘crescita personale’. Legge, studia e soprattutto sperimenta, con curiosità, determinazione e costanza. Lo fa per quindici anni, anche mentre a Milano lavora come manager per una multinazionale della consulenza direzionale. Nel 2008, apre un blog in cui seleziona per i suoi lettori il meglio di quello che ha imparato o sta studiando. Si tratta di produttività, metodi di studio, strategie di lavoro, gestione virtuosa del tempo, autoconsapevolezza, buone abitudini, felicità, con un approccio molto pragmatico: si chiama EfficaceMente e a poco a poco diventa uno dei portali più seguiti d’Italia. Finché da passione si trasforma in professione. Oggi, Andrea rappresenta un esempio virtuoso di imprenditore digitale: da quattro anni, lavora a tempo pieno ad EfficaceMente e alle iniziative collegate, coordina un gruppo di collaboratori, è divulgatore e speaker per il TEDX. Il suo ultimo libro è il best-seller Riconquista il tuo tempo (Rizzoli, 2018). 

La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?

“Esistono due filosofie didattiche. La prima vede la scuola al servizio del sistema economico; in tal senso le si chiede di formare la futura classe lavorativa e dirigente. La seconda, invece, vede la scuola al servizio della società; secondo questa visione, nelle aule devono essere formati i futuri cittadini. Il duplice problema del sistema scolastico italiano odierno è che cerca di formare dei lavoratori (prima filosofia), ma lo fa per lavori che non esistono o non esisteranno più. Quindi sì, credo sia necessario modificare profondamente ciò che viene insegnato, e non semplicemente aggiornando i programmi per allinearli alle esigenze dell’attuale sistema produttivo, ma con l’obiettivo di formare degli adulti. Questo significa individuare le competenze chiave che arricchiscono una persona a tutto tondo. Come possiamo insegnare ai nostri ragazzi a sviluppare un pensiero critico? Come possiamo aiutarli a essere felici? Come possiamo trasmettere strategie e pratiche per un apprendimento continuo?”. 

Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe? 

“Sicuramente introdurrei nuove materie e ne sostituirei altre. Ad esempio sostituirei l’ora di religione con un’ora di educazione alla felicità (oggi abbiamo a disposizione sempre più studi scientifici su cosa ci rende davvero felici).

In generale però, anche per le materie che salverei (dalla matematica alla filosofia, dall’arte alla fisica), sostituirei l’approccio nozionistico dominante con un approccio improntato allo sviluppo delle capacità di ragionamento e pensiero critico degli studenti”.

Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?

“Non ritengo che la scuola debba preoccuparsi dell’inserimento nel mondo del lavoro, almeno non la “scuola dell’obbligo”. Non solo perché formare i futuri adulti è molto più importante che formare i futuri lavoratori, ma anche perché il lavoro, così come lo conosciamo, è un’invenzione relativamente recente e probabilmente è destinato a scomparire nell’arco dei prossimi 30-50 anni.

La scuola non può e non deve inseguire i ritmi frenetici di aggiornamento delle competenze richieste dall’attuale mondo del lavoro, ma può e deve aiutarci a sviluppare il nostro potenziale intellettivo e sociale”.

È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?

“Assolutamente sì. Abbiamo sempre più bisogno di una pedagogia basata su etica, valori e principi fondamentali e sempre meno una di tipo funzionale. Nei prossimi trent’anni sempre più attività “funzionali” saranno sostituite da algoritmi e robot che saranno in grado di svolgere la stragrande maggioranza dei compiti in maniera più efficiente, rapida e instancabile. Vogliamo forse far competere i nostri ragazzi con dei software, o vogliamo piuttosto formare adulti consapevoli in grado di partecipare attivamente a quelle che saranno le fondamentali decisioni etiche che guideranno la nostra società futura?”.

L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?

“È davvero superato il problema dell’alfabetizzazione di massa? Il crescente analfabetismo funzionale sembrerebbe suggerire il contrario e oggi non possiamo più accontentarci di persone che sappiano leggere e scrivere: abbiamo bisogno di persone che sappiano pensare. Per il resto, no, non credo che una maggiore libertà di scelta, soprattutto nei primi anni di educazione, sia una scelta saggia. Viviamo in una società sempre più liquida, in cui a mancare sono proprio le esperienze condivise. Frammentare anche l’esperienza scolastica credo porterebbe a un’ulteriore disgregazione della società. C’è tempo per specializzarsi e, come spiegato, non necessariamente la specializzazione sarà la carta vincente per i nostri figli”.

Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?

“Su questo mi trova assolutamente d’accordo. Quando parlo di formazione a tutto tondo di un ragazzo penso anche alla sua educazione emotiva e fisica. Questa tendenza prettamente occidentale a compartimentalizzare aspetti della nostra vita che sono profondamente connessi tra loro è stata vantaggiosa nel periodo storico delle catene di montaggio, ma lo è sempre meno nella società odierna e futura. Potremmo insegnare ai nostri ragazzi molto di più nel corso di una passeggiata in mezzo a un bosco che durante una lezione in aula”.

È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?

“Già… in questa società in cui c’è una sovrabbondanza di informazioni e nozioni, la conoscenza, l’introspezione e la riflessione critica spesso ne soffrono”.

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