Vivere nell’incendio della poesia. Silvia Valerio intervista Anna K. Valerio – pubblicato su Barbadillo.it

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Quando le ho chiesto di trovare una sua alter ego letteraria, Anna mi ha rimandata alla protagonista femminile del romanzo ‘Gli incendiati’ di Antonio Moresco. E non posso non dare ragione a questa ragazza di fuoco con cui ho l’immensa fortuna di condividere la vita e la scrittura di un romanzo. Perché lei è intensa, coraggiosissima, inesauribilmente viva dalla punta delle ciglia alla curva del piede. Perché, con le parole del nostro comune amato Gómez Dávila, lei ha “la durezza della pietra e il tremito del ramo”.

È sulla meraviglia della poesia che ho voluto interrogarla, a distanza di una regione: di quella poesia che studia appassionatamente da tempo cercandone gli esiti migliori.

In questo mondo frenetico e ottuso, forse è proprio la breve perfezione del verso, che non implora nulla, che non falsifica nulla, il luogo ideale da cui possiamo avvicinare il segreto (e imparare il coraggio) della “vera giustizia”.

“La mano che non ha saputo accarezzare non è in grado di scrivere”, sostiene sempre Gómez Dávila. Sono certa che le risposte di Anna siano state scritte dopo varie carezze a piccoli riccioli color rame.

Anche questa è poesia.

Anna K. e Silvia Valerio, scrittrici e firme di Barbadillo

 

  1. Perché leggere poesie, oggi? E perché è importante ammirare? 

Perché la poesia non è fuga, non è elusione – e non è, quindi, illusione –, ma è risposta: nessun altro genere letterario è così vincolato alla puntualità, alla precisione, alla concretezza, all’onestà essenziale. La poesia è “andare lontano” per “tornare”. È l’arte di consolarci senza prenderci in giro. Ci dà il sollievo della meraviglia. Quando quando quando la vita di tutti i giorni fa altrettanto? Quando ci regala qualche sorpresa meravigliosa?

Ammirare è l’unico modo per non isterilirsi nel dolore. Per rimanere svegli in mezzo ai dormienti, vivi in mezzo ai morti.

  1. Ci salverà la bellezza? O cos’altro?

La bellezza farà di meglio: salverà solo quelli giusti… Non la bellezza che sta dentro la cornice di una cartolina (quella può ben poco, ormai): la bellezza che le cornici le fa esplodere.

  1. Che definizioni daresti per: coraggio, giustizia, intelligenza, libertà? 

Difficile definirli: chi è onesto li riconosce all’istante, senza mediazioni intellettualistiche. Sono, inequivocabilmente, come il verde degli alberi e l’azzurro di un cielo limpido. Il coraggio è ormai quasi sconosciuto. Ne ho trovato sempre pochissimo, escludendo, naturalmente, la spregiudicatezza di chi pratica gli sport estremi o fa il bagno in piscina dopo pranzo con una granita in mano. Giustizia è la musa del guerriero: si è vivi solo se non si esclude a priori di poter morire per lei e se si fa almeno qualche passo per correre incontro a questa morte. L’intelligenza è solo un gioco di prestigio se non si accompagna a un carattere retto, energico, coraggioso. Libertà è una sgualdrina con le pelli vizze di oltre due secoli. E qui lascio parlare Nicolás Gómez Dávila: “Libertà vera è solo quella di sottomettersi a un signore vero.”

  1. Perché l’uomo ha tanta paura di ciò che è bello, buono, vero?

Perché quasi sempre non è né bello, né buono, né vero. Purtroppo – è la grande tragedia dell’umanità – la storia ha collezionato e colleziona torme di brutti-e-cattivi, che passano l’intera esistenza a fare la guerra a ciò che è bello e buono e vero. E si contentano così. Poverini!… Maledetti!…

  1. Cosa distingue le anime vive dalle anime morte?

La reattività di fronte all’imperativo del giusto, il senso di responsabilità, le dimensioni del cuore, la fame bruciante di avventura, la capacità di ammirare.

  1. Qual è la mancanza più grave di questa contemporaneità?

Proprio la mancanza di vita.

  1. Mi delinei una gerarchia dei problemi da risolvere? Hai immaginato delle soluzioni?

Primo: ridare la giusta importanza al mistero della generazione. Secondo: capire come formare i bambini e i ragazzi senza deformarli. Poi, se le cose sono andate per il verso giusto, faranno loro in modo di aggiustare il resto. Ovvero di inventare un mondo completamente diverso dall’attuale. Le geometrie spigolose di un’opzione tirannica non mi sembrano praticabili.

  1. Il mondo sa riconoscere i poeti? 

Il mondo non sa riconoscere mai in tempo i suoi poeti. Mai. Li spedisce in esilio, fa perdere loro il primo premio nei concorsi letterari, li ficca in manicomio o in galera, li costringe al suicidio.

  1. Quando hai scoperto la poesia?

Prestissimo. Da bambina. Alle medie imparavo a memoria poesie invece di stare ad ascoltare le parole scialbe dei professori. Anche alle superiori. All’università, poi…

  1. Quale poesia avresti voluto scrivere? 

Mi accontenterei di un tris di versi-cristallo: “Sovente, in queste rive,/ che desolate, a bruno,/ veste il flutto indurato, e par che ondeggi…”. Anzi, mi sarebbe bastato quel “e par che ondeggi”.

  1. Il tuo libro preferito delle Edizioni di Ar?

In alto le forche!: il più figo ed esaltante. E Pensieri antimoderni, ma essendone la curatrice forse non è valido sceglierlo.

  1. Un autore che ami – non delle Edizioni di Ar?

Sciascia. Li ha fatti cornuti tutti. I vari Moravia, Pasolini, Gadda, Calvino… Tutti.

  1. Quale artista/figura del passato riporteresti in vita?

Ecco, magari proprio Sciascia.

  1. Un tuo alter ego letterario? 

La protagonista femminile de Gli incendiati di Antonio Moresco.

  1. E se fossi una poesia saresti…? 

Tu ricorda, io dico, ricorda

tu ricorda, ti dico e piango:

ogni cosa scompare e muta

e la stessa speranza uccide.

Non v’è oceano che torni nel fiume,

né fiume che risalga alle fonti,

né a chi il tempo sia misericorde –

ma ti amo, ti amo come

se tutto questo fosse stato e sia.

(Ol’ga Sedakova)

  1. Quali sono le cose più importanti da insegnare a un ragazzo del 2017? E a una ragazza?

A scaldarsi casa con la legna che ha raccolto sui greti del fiume o in un bosco. Vale anche per la ragazza, ma a lei vorrei insegnare anche tutti i balli che conosco e mandarla a imparare quelli che non conosco.

  1. Come spiegheresti a un bambino, o a una bambina, il mestiere del poeta e le sue ragioni?

Forse non è il caso di spiegare a dei bambini come uccidere il mondo, e se stessi…

  1. Che cosa possiamo imparare dalla poesia?

La vera giustizia.

  1. Mi dici alcune parole della lingua italiana che ami in particolare?

L’avverbio “maravigliosamente”.

  1. Che autori insegneresti in una classe di liceo classico?

Partirei da alcuni ottimi scrittori vivi, o, meglio, da alcune ottime pagine di scrittori vivi, e risalirei, risalirei. Fare il contrario, come si usa, è una mortificazione assurda dell’istinto, del gusto, della passione.

  1. Da chi, da cosa si impara la poesia?

Da chi sa nutrirsi di miele e locuste. Da chi ha visto morire i propri sogni e cammina sulla terra con il passo dell’astronauta sul pianeta sconosciuto: tutto oblio di sé, distanza da sé, tutto stupore. Da chi sa marciare. La poesia è sottrazione dell’inessenziale. Se è fatta di parole-cose, è grande poesia anche senza l’accompagnamento di musichette cantabili. Un esempio? “L’ultima cicala stride/ sulla scorza gialla dell’eucalipto…” (E. Montale)

  1. Si possono insegnare la giustizia e il coraggio? 

Forse si potrebbe – e si dovrebbe – insegnare la vergogna a chi ne manca e cerca di   annientarli.

  1. Una poesia per ricordarsi del mondo? 

La mia pelle odora

 di cortili umidi

 di campi abbandonati

 Mi sporgo

 sul bordo del mondo

 Tu non sei da nessuna parte.”

(Anise Koltz)

  1. E una per dimenticarsene? 

Ah, bastano veramente pochi versi… “[…] gli estremi dell’anima si toccano/ si chiudono si sente girare la terra/ quel rumore senza luce.” (Blanca Varela)

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